Yvan Bourgnon e ‘Le Manta’: intervista al grande navigatore oceanico

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Yvan Bourgnon e 'Le Manta': intervista al grande navigatore oceanico

di Vittorio Pedrotti e Berta Corvi

Questa intervista ci ha permesso di conoscere il grande navigatore oceanico Yvan BOURGNON un amante dell’avventura, un marinaio che conosce a fondo la navigazione oceanica.

Durante le sue innumerevoli traversate, Yvan si è imbattuto in condizioni meteo proibitive condite da vari episodi di difficile gestione che lo hanno messo alla prova sia da un punto di vista fisico che psicologico, ma a cui ha fatto fronte in modo egregio grazie alla sua esperienza.
 

Nella sua lunga navigazione in solitario l’uomo BOURGNON, dopo aver toccato con mano e constatato lo stato dei mari e degli oceani attorno al mondo, è diventato un grandissimo combattente contro il più grande nemico per il nostro pianeta, l’inquinamento dalla plastica e dalla macro e microplastica.

Soprattutto la concentrazione di tali detriti sotto la superficie dei mari e degli oceani rappresenta un grandissimo pericolo per la nostra salute. Non è visibile, ma sta entrando nella catena alimentare delle specie ittiche.

Yvan ha compreso bene che con uno stile di vita più attento e rispettoso dell’ambiente, l’uomo può davvero fare qualcosa per la salvaguardia del pianeta.

Consapevole di questa vera e propria catastrofe ecologica a livello planetario, ha deciso di creare l’associazione The SeaCleaners, dedicata alla riduzione dell’inquinamento plastico.

Per affrontare questa nuova sfida, si è circondato di un team di esperti e ha lanciato un progetto innovativo: Le Manta, la prima imbarcazione oceanica in grado di raccogliere e trattare in massa i macro-rifiuti galleggianti prima che si frammentino in micro-rifiuti danneggiando la biodiversità in modo irreversibile.

Yvan, come sei diventato navigatore ?

Fin da bambino ho viaggiato attraverso gli oceani e fatto il giro del mondo con mio fratello maggiore e i miei genitori, grandi appassionati velisti che mi hanno sempre coinvolto ispirando in me il sogno non solo di esplorare l’universo della navigazione, ma anche di dedicare la mia vita alle grandi avventure, a contatto con la natura.

Avevo quindi solo 8 anni quando ho iniziato a solcare i mari. Finiti gli studi, ho avuto la voglia irrefrenabile di partecipare a gare con barche a vela. Nel 1995, ho comprato un monoscafo usato e mi sono messo alla prova. Questa nuova sfida mi ha permesso di vincere la Mini Transat. Poi nel 1997 ho vinto il Transat Jacques Vabre al fianco di mio fratello Laurent. La mia carriera ha giovato della mia partecipazione ventennale a gare oceaniche.

La mia preferenza è andata a record e a gare in equipaggio ridotto. Successivamente, nel 2008, sono passato all’avventura, ai piccoli catamarani sportivi con l’ambizione di optare per una navigazione più vicina agli elementi, alla natura, ai valori semplici ed ecologici per rimanere fedele alla mia educazione e al mio modo di essere.
 

Ho partecipato ad avventure sempre più estreme con un piccolo catamarano leggero da 20 piedi. Ho accumulato diversi record: l’attraversata della Manica in due ore, quella del Mediterraneo, il passaggio di Capo Horn e poi l’ambizione di fare il giro del mondo in solitario sull’oceano artico con un catamarano sportivo non abitabile, senza motore e senza alcuna assistenza, solo con l’aiuto del sole e delle stelle.

Mi sono imbarcato per il passaggio del Nord-Ovest (da Nome in Alaska a Ingsugtusok in Groenland) e ho percorso 7500 km attraverso i ghiacci polari. Quel tipo di pratica di navigazione è stato per me una rivelazione. Mi sono ritrovato nei miei valori, nell’incontro di civiltà diverse, in un altro modo di scoprire il mondo. È un po’ come l’uomo che parte con il suo zaino per girare il mondo a terra. Vedi più cose di chiunque altro. Durante il passaggio del Nord-Ovest da solo ho scoperto l’universo del grande nord, il freddo e il ghiaccio che si scioglie.

Tre anni fa sono passato completamente all’ecologia grazie al progetto The SeaCleaners.
 

Quali qualità deve avere un buon navigatore?

Un buon navigatore dev’avere lo spirito dell’esploratore e non aver paura di uscire dalla propria zona di comfort. Per entrare nel mondo della vela estrema con equipaggio ridotto bisogna avere una predisposizione a vivere in situazione di disagio eliminando le comodità a cui si è abituati. Il catamarano non abitabile, l’uso delle carte nautiche e del sestante al posto della strumentazione elettronica sono stati la sfida più importante per me. 

Una barca a vela è scomoda perché si muove. Si soffre il mal di mare, ci sono tempeste. È indispensabile avere una mente collaborativa. Il navigatore “Au Large” che affronta, anche in equipaggio, una sfida importante come una regata oceanica deve avere uno spirito aperto, deve essere forte a livello psicologico.

Nell’avventura estrema bisogna “mentalizzare” le varie possibilità di situazioni pericolose a cui si potrà andare incontro ed essere pronti a trovare una soluzione.

Quando il viaggio diventa un’avventura estrema devi essere all’altezza del tuo desiderio. Abbiamo il diritto di far fronte alle sfide, di essere al di sotto del livello, ma mentalmente dobbiamo essere all’altezza del compito perché si possono verificare imprevisti, ferite. Devi rappresentarti mentalmente tutto questo con forza e anticipare gli eventi, prevedere il meglio e il peggio.

Durante tali imprese so che corro il rischio di rimanere senza acqua e senza cibo, so che posso capovolgermi e che la barca può essere privata dei suoi alberi o essere danneggiata, so che posso perdere i timoni. Se la navigazione procede senza inciampi, tanto meglio! Spesso le persone tendono a pensare che non succederà nulla. Io invece dico che è meglio essere pronti ad ogni evenienza.

Che cos’è il progetto Le Manta?

Le Manta ha avuto la fortuna di trovare uno sponsor importante in Italia. Sono stati gli italiani a dare il via a questo progetto. Abbiamo firmato un contratto di massima collaborazione con Allianz Global Investors, gestito da Milano. È diventato il nostro più grande sostenitore perché i suoi valori e i suoi obiettivi in termini di sostenibilità sono molto vicini ai nostri. Siamo felici di lavorare insieme su questa missione per cercare di salvaguardare gli oceani. L’Italia è molto preoccupata.
 

È uno dei pochi paesi ricchi con due fronti riguardo il trattamento della plastica. Avete delle regioni dove la plastica è gestita molto bene e altre aree dove questo non avviene, soprattutto a Napoli. È un paese dove vale la pena parlare di plastica. Oggi i francesi e i tedeschi diranno che gestiscono bene la plastica, ne comprano meno nei supermercati, non la buttano più nella natura. È una specie di leitmotiv. In Italia c’è un grande impegno, ma alcune regioni hanno ancora molto lavoro da fare. Questo è un messaggio molto importante per noi e molto favorevole. Non c’è bisogno di arrivare fino all’Asia o al Sud America per dimostrare che c’è uno sforzo da fare.

Dove opererà  The SeaCleaners?

Opererà nel Mediterraneo, anche se non è l’area più contaminata del pianeta, poi nel Sud-Est asiatico tra India e Giappone, in Africa (Gambia, Nigeria, ecc), in Sud America (Amazzonia), nei paesi in via di sviluppo. Ci sono 20 fiumi nel mondo che scaricano ancora il 60% di plastica. È necessario concentrarsi sulle foci.

Quante tonnellate di plastica potrà raccogliere?

La comunicazione deve essere fatta con grande celerità, in questo non possiamo più dare scadenze, non c’è più tempo. L’obiettivo di Le Manta è di raccogliere 8000 tonnellate di plastica all’anno. Questo progetto è una grande iniziativa. Le barche ecosostenibili adoperano una tecnologia sofisticata. Hanno la capacità, con il progetto portato alla sua completezza, cioè con la costruzione di 300 barche, di smaltire il 30% dell’inquinamento globale di plastica nei mari e negli oceani. Riteniamo che questa percentuale sia altissima. È un po’ come un camion della spazzatura che da solo non può raccogliere tutti i rifiuti. Ma quando si moltiplicano i camion, si raggiunge l’obiettivo prefissato. Ripeto, meno plastica deve arrivare nei mari. Urge trovare altre soluzioni di raccolta sui fiumi. Per esempio, gli olandesi stanno testando le barriere galleggianti cattura-plastica.
 

Come condurrai la campagna di sensibilizzazione?

L’informazione avviene attraverso iniziative ed attività presso le scuole. È anche rivolta agli adulti per far capire a tutti che i nostri comportamenti vanno modificati scegliendo confezioni non in plastica e dimenticando le piccole plastiche monouso perché sono più facilmente abbandonate mentre le confezioni più grandi possono essere meglio gestite.

Oggi i paesi ricchi finanziano, con milioni di euro, campagne di sensibilizzazione all’uso della cintura in macchina. Servono altrettanto milioni per creare un piano e tutelare l’ambiente riducendo il consumo di plastica. Bisogna dire che chi lascia le materie plastiche nella natura uccide gli animali e uccide la nostra specie. I paesi ricchi non finanziano campagne di sensibilizzazione, non rendono reattiva la gente su questo problema. Questo è sbagliato.

E i finanziamenti ?

Il pubblico in generale ed alcune imprese sono coinvolte. Troviamo finanziamenti con donazioni di privati ​​e imprese. È la nostra salvezza.

Nelle più alte sfere, tra i politici dell’Unione Europea, possiamo constatare che questi progetti non sono all’ordine del giorno al momento. Non c’è affatto riflessione intorno al problema. Non è una priorità, anche perché non sono stanziati dei fondi. In Francia, faccio parte di una commissione in cui si dice che la Francia avrebbe dovuto investire 1000 miliardi di euro per potere risolvere il problema. Purtroppo, oggi hanno solo un miliardo su mille, la priorità è quindi di educare, di aumentare la consapevolezza, di cercare di migliorare la raccolta differenziata, di provare a riciclare più plastica. Hanno già speso un miliardo, non possono occuparsi del resto. Ho anche sentito qualcuno dire che non si dovrebbe raccogliere la plastica in mare perché invoglia la gente a gettarne ancora più. Assurdo!!!

Le dimensioni ambientali, educative, scientifiche e economiche de Le Manta devono essere oggetto di comunicazione internazionale per garantire la piena efficacia del progetto.

Parteciperai a convegni in Italia ?

Dovremmo trovare un rappresentante che crei The SeaCleaners in Italia. Non abbiamo ancora ricevuto proposte reali. Vorremmo trovare un gruppo di persone che possa avviare questa iniziativa. Abbiamo aperto in Svizzera, apriremo presto in Olanda, Belgio, Stati Uniti, Germania. Come vede, si sta sviluppando. Dobbiamo anche aprire in Italia. È una priorità a livello di educazione. Teniamo a cuore questo argomento perché educa alla consapevolezza. Ad esempio, quest’anno stiamo partecipando ad una cinquantina di eventi in Francia. Ce ne saranno ancora di più l’anno prossimo. Stiamo cercando di mettere in campo squadre, reti di volontari, mecenati e aziende italiane che abbiano la volontà di occuparsi della raccolta fondi o di partecipare al nostro progetto.

Ahimè!!! Non c’è molta interazione tra i paesi europei. Lo vediamo, quando parliamo di politica in un’azienda. Tutti pensano a quello che sta accadendo sul proprio territorio, nella propria regione, nel proprio paese, ma quello che succede altrove non interessa. È difficile per noi.

L’inquinamento marino è un problema globale. Tutti devono collaborare. I paesi ricchi hanno inquinato per più di trent’anni. Devono contribuire ancora di più. Le aziende non sono interessate a quello che succede in altri paesi eppure esportano ovunque. I politici si prendono cura della propria comunità, della propria regione. È giusto, abbiamo anche bisogno di una politica locale. Lo stesso vale per il riscaldamento globale. È difficile convincere tutti intorno al tavolo a lavorare insieme nella stessa direzione.

Dobbiamo cercare di eleggere politici che abbiano una coscienza ecologica. I politici che sono arrivati al potere negli ultimi anni non sono ecologisti. La vera paura è che non si sentano coinvolti. Il vero cambiamento passa attraverso loro. L’ecologia è solo un costo nel programma. Le decisioni vanno prese a lungo termine, per il 2030, per il 2040, il 2050, il 2060. Nessuno vuole farlo. I politici non si preoccupano di progetti a lunghissimo termine, eppure è assolutamente necessario. Certamente, ad un’industria non possiamo dire che domani si eliminerà la plastica altrimenti ci saranno milioni di disoccupati. Le industrie hanno il tempo di cambiare abitudini, di prepararsi a questo cambiamento, ma il problema è che se il politico non prenderà mai una decisione a lungo termine, fra 15 anni o 20 anni ci sarà ancora più materiale plastico.

Grazie Yvan e buon vento

Vittorio Pedrotti e Berta Corvi 

Photo Crédit Yvan Bourgnon

Link all’articolo su “Nautica Report”

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